lunedì 26 settembre 2016

SFIDUCIA A LA REPUBBLICA E AD EUGENIO SCALFARI .


                                                                                             Domenica 25 Sett. 2016
Caro Ulisse,
       La domenica è l’unico giorno della settimana in cui riesco a dedicarmi ad una lettura “critica” dei giornali quotidiani. Ne prendo ogni giorno tre: La Stampa, La Repubblica e il Fatto quotidiano.  Il primo perchè ha alcune pagine dedicate alla provincia (nel mio caso quella di Cuneo);  il secondo perché ho creduto, fino ad oggi,  al suo originario orientamento di centro-sinistra ;  il terzo ( Il Fatto)  perchè – a mio giudizio – è l’unica voce libera dell’ipotetico” terzo potere”.
       A questo proposito sto pensando di abbandonare (almeno alla  domenica) l’acquisto de  La Repubblica  principalmente per due motivi : 1°) perchè ha ingannato gli abbonati a l’Espresso, che come me, hanno pagato anticipatamente detta rivista (che garantiva il non aumento del prezzo)  , ed ora impone loro la stessa rivista con la copia domenicale de La Repubblica ed quindi con  pagamento del supplemento (sic). In sostanza gli abbonati a l’Espresso invece di essere favoriti per aver anticipato  anche di alcuni anni (io ho  38 copie da ricevere) l’intero importo dell’abbonamento, sono costretti a pagare due volte ogni copia settimanale della rivista (una con l'abbonamento e l' altra come supplemento obbligatorio de La Repubblica domenicale.  L’unica alternativa  per non pagare due volte la stessa rivista  è quella di privarsi alla domenica della lettura di LA REPUBBLICA e così  far calare le vendite della Repubblica domenicale . Bel risultato per il genio che ha avuto l’idea dell’accoppiamento Espresso-La Repubblica.!
2°)   Il secondo motivo del mio abbandono de La Repubblica (per ora della copia domenicale)  oltre al suo,  sempre più accentuato,  atteggiamento filo-governativo, mi sono stancato di leggere le settimanali prediche di Eugenio Scalfari. Mi è diventato insopportabile l’equivoco atteggiamento di  un se-dicente laico e non credente, verso le presunte intenzioni riformatrici del buonista Papa Bergoglio.  Quando Eugenio racconta delle sue confidenziali conversazioni con il Papa mi ricorda quello che si diceva di un famoso avvocato veneziano. Quando nel suo ufficio stava ricevendo un cliente carico di soldi, per impressionarlo si faceva chiamare dalla segretaria: “cè il Papa al telefono”, e lui prendendo la cornetta davanti al cliente incominciava  “O cara Santità”.  Era una balla ma efficace !
 In verità Papa Bergoglio non dimostra alcuna volontà riformatrice che si discosti dalla millenaria linea conservatrice della Chiesa cattolica, se non con qualche pallido accenno al cambiamento e tante belle parole  che lui crede  consolatrici,
Questa è il "pastone" di comunicazione e di critica politico-sociale che ci offre uno dei più importanti giornali del Paese. Mi dicono che l’altra grande voce della stampa nazionale,  il “Corriere della Sera”,  non solo è filogovernativo pure lui  ma di un conservatorismo più che ortodosso (basta sentire parlare il suo vice-direttore Polito).  Non parliamo poi  dei giornali dichiaratamente di destra.   Io, caro Ulisse,  questo pastone non lo voglio mangiare più,   A.S.           

sabato 17 settembre 2016

PER IL TERZO MONDO ?



                                                    Cuneo 8 Luglio 2016
Caro Ulisse,

“E’ una cosa meravigliosa poter partecipare alla vita di internet , rete di comunicazione  con tutta l’umanità .  Ogni volta che mi metto al computer per poter sfogare le mie considerazioni molto ma molto personali, (non mi vergogno a definirle “chiacchere da bar” perchè sincere e terra terra )  considerazioni  su fatti, persone, idee,  non mi sembra più, come mi accadeva in passato, di parlare in un armadio.  Mi sento invece  un naufrago che sfoga il suo pensiero in uno scritto, lo mette in una bottiglia, lo butta  nel mare  magnum della “rete” e spera che qualcuno lo legga e  magari risponda, cosa che non puoi fare tu, caro Ulisse, che rimani comunque l’ispiratore del mio pensiero.

Oggi ho alcune considerazioni da farti  sul terribile  eccidio anche di italiani  effettuato ieri a Dakka. Mi è parso non privo di significato che l’eccidio sia avvenuto della capitale del Bangladesh  città poverissima con un numero esorbitante di abitanti (6 milioni e 700 mila)  ma che è anche il luogo ove si fabbrica il tessile che sarà usato e venduto in  occidente (anche in Italia)  con lavoro di operai locali pagati 70  dollari al mese (sic).  E poi ci si domanda perchè  quei popoli  del terzo mondo  debbono emigrare da noi e tutti concordano nella necessità che per evitare le immigrazioni questi popoli debbono essere aiutati a crescere nei loro paesi di origine : sì pagandoli  meno di 3 euri  per 10 ore di lavoro al giorno. 
Ciò premesso mi è parso singolare che gli italiani vittime del massacro erano tutti (chi più chi meno)  a Dacca proprio per curare gli interessi di ditte italiane interessate ad ottenere a bassissimo prezzo gli oggetti da loro poi commercializzati in Italia e in tutto il  mondo occidentale a prezzi enormemente maggiori di quelli del costo di produzione.
Non voglio assolutamente giustificare la morte di queste persone con la loro legittima attività; è infatti il mercato su cui si regge il capitalismo che è a sua volta la attuale base economica del mondo occidentale che impone a questi imprenditori la ricerca del minor costo possibile delle loro merci per vincere la concorrenza e poter ingrandire le loro imprese con lo sfruttamento di una mano d’opera a bassissimo costo.  Sta di fatto che la coincidenza colpisce e ci costringere ad interrogarci sulla motivazione che ha spinto gli assassini ad accanirsi su questi  inermi.
Sono infatti persuaso che ogni azione umana compreso anche il peggior delitto, ha (almeno per chi la commette)  una motivazione, giusta o sbagliata che sia. I sadici/mostri esistono,  ma sono meno di quanto si creda (me lo diceva già Primo Levi a proposito degli incredibili orrori commessi dagli aguzzini di Auschwitz). In questo caso la motivazione più evidente in corrispondenza con altre simili stragi come quella di Parigi o quella di Istambul  appare quella della ideologia dell’odio che questi fanatici mussulmani nutrono verso le abitudini di vita, per loro fortemente peccaminose,  dell’occidente. Ma mi è consentito sospettare che nel caso della strage di Dacca,  lo sfruttamento (perchè di questo si tratta) delle popolazioni di quei luoghi, possa essere almeno una concausa del  terribile massacro ivi commesso ?
        Da qui la mia personale considerazione che da questa ormai radicata e diffusa piaga della moderna lotta ideologica di un Islam furioso e fanatico, armato fra l’altro di combattenti pronti alla morte subito e dovunque, non si possa uscire  se non con il dialogo e/o la trattativa.  Bisogna capire bene le motivazioni di questa loro lotta terroristica e quindi le cause di queste rinascenti e trasformate ideologie religiose, e possibilmente porre rimedio a quelle accuse, spesso giustificate, che ci vengono da quel mondo. Il primo e principale ostacolo a questo dialogo e/o trattativa è ancora una volta (perchè lo ricordo bene come rigidamente usato contro le  “Brigate rosse”) il principio che con questi nemici non si tratta, che trattare vorrebbe dire riconoscerne il potere e – orrore – forse anche capire le cause del  loro delittuoso agire.
  Questo muro contro muro vedremo dove ci porterà ! E’ vero che le brigate rosse sono state annientate ma non vi è paragone tra il fanatismo politico e quello religioso: il primo al massimo ti fa sperare in un mondo migliore ma il fanatismo religioso ti consente di diventare martire degno del Paradiso : cosa vuoi di più ?  A.S.

sabato 10 settembre 2016

CULTURA E POPOLO



Caro Ulisse,

      Ho partecipato nel pomeriggio di Venerdì 9 Sett.2009 presso il Filatoio di Caraglio ad un incontro di quelli che si sono pomposamente chiamati gli Stati Generali della Cultura.  La domanda di base era “Cosa e’ la cultura”.

      Anch’io ho cercato di dare il mio contributo .

      L’antropologo Cavalli Sforza fra i molteplici e differenti significati della parola cultura, ne indica uno a cui si ispira la Fondazione Casa Delfino da me diretta, per cui noi intendiamo intervenire sull’insieme di quanto viene appreso da un individuo nel corso della vita, dal comportamento quotidiano alla conoscenza di qualunque natura, inclusi quegli elementi – come i pregiudizi e le credenze - che precedentemente non venivano compresi nel significato del termine cultura.    Così concepito, dice Cavalli Sforza, il concetto di cultura può in qualche modo considerarsi alternativo a quello di natura, purché adottato in senso stretto, cioè riferito a quanto vi è di innato in noi, o più specificatamente di ereditato attraverso la biologia. In questo senso la “cultura” diventa, per opposizione, tutto quanto è appreso durante lo sviluppo.

      Nell’occasione del convegno di cui sopra, non mi sono avvalso di questo testo anche perché non l’avevo sottomano ed ho in estrema sintesi  detto che “fare cultura vuol dire, far pensare”. Ritengo che nel “pensare” c’è tutto: il conoscere e quindi il sapere, la teoria e la pratica, il vicino ed il lontano, il personale e l’universale , le credenze, le opinioni ed i dubbi, etc. etc.

      Su questi presupposti teorici era inevitabile si scendesse nella realtà locale e si parlasse   della “illuminata”, l’evento che ha coinvolto Cuneo ed ottenendo il successo della partecipazione di migliaia e migliaia di spettatori e non si può non definire “popolare”. Su questo tema mi è parso che la critica di base, si possa riassumente nel titolo che ho dato ad un mio articolo, che è stato rifiutato dai giornali locali , ma che ho messo nel mio blog su internet, “il Fischietto” .    Il titolo era  “L’illuminata senza lumi”.  Si è cioè addebitato a questa “grande operazione” (a proposito quanto è costata ?), ed ad altre soprattutto eno-gastronomiche, di mancare di contenuto culturale.  A queste critiche espresse in modo più o meno soft su La Guida si è  risposto in estrema sintesi : “ ma una  cultura  che non sia popolare, può essere davvero cultura ?”

      Da ciò sorge spontanea la domanda:  se per dare un valore culturale ad una iniziativa ci vuole una partecipazione popolare, come può ottenersi tale partecipazione  alle attività che si definiscono culturali ?       In sintesi: quale tipo di cultura  “il popolo” gradisce   per partecipare ?  Non è facile dare una risposta esaustiva a questa domanda che ha tante sottodomande.  Per esempio: c’è una cultura popolare e una  cultura d’elite ?, c’ è una cultura generale ed una cultura specifica ? etc.etc..  Comunque è una domanda  che ogni organizzatore culturale dovrebbe porsi, ed in effetti (per rimanere solo nella nostra terra) mi pare si sono posti gli organizzatori di “Collisioni,” del “Festival della comunicazione di Dogliani” ed anche di “Scrittori” nella nostra “piccola” città.   

      La prima risposta che mi pare di poter dare a questa domanda (cosa vuole la gente per partecipare ?) parte dalla impressione, avendo assistito anch’io allo spettacolo,  che la gente abbia partecipato alla Illuminata come assistesse ad uno spettacolo di fuochi d’artificio (come quelli che si facevano a S. Michele). In modo generalizzato e prevalente se ne deduce che la gente vuole divertirsi e lo stupirsi, la novità e la meraviglia sono componenti importanti del divertirsi. La mia conclusione (incompleta e provvisoria) di queste noterelle è che la cultura per essere popolare deve essere anche divertente, allettante, appetitosa [1] per la natura umana.  

      Peraltro lo spettacolo popolare deve divertire ma anche aiutare a pensare. 

                                     
                                                            ANTONIO SARTORIS



     






[1] Vi sono tanti appetiti collegati  ai vari organi dell’uomo : l’appetito del sesso, della gola, dello stordimento  provocato  da mali psicologici  magari inconsci e apparentemente appagato dal fumo, dall’alcool  e dalle droghe , appetito di appariscenza,  di potenza, di gloria, appetito di spiritualità, di fare e ricevere bene, ma anche appetito di denaro e di vendetta
 Per fare cultura bisogna sollecitare l’appetito del sapere, del pensare e cercare che il suo appagamento  susciti piacere.