Caro
Ulisse, mio amico silenzioso ,
la questione
dei migrati dall’Africa (ma non solo dall’Africa) è oggi uno dei temi
principali della politica nazionale ed internazionale. Voglio anch’io dire la mia.
Parafrasando il
famoso “Manifesto del partito comunista” scritto da Karl Marx e Fiedrik Engels
nel 1848 traduco impressioni e giudizi
sul fenomeno delle migrazioni, in un mio
Manifesto della migrazione
Uno spettro
s'aggira per l'Europa - lo spettro dell’altro, del diverso, che migra da un
paese ad un altro . Tutte le potenze
della vecchia Europa si sono alleate in una “santa” (perché ammantata anche da
motivazioni religiose) battuta di caccia
contro questo spettro: Italia, Francia
Germania ed incredibilmente nazioni
(Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia) che fino a ieri hanno sofferto come
“diversi” sotto gli occupanti nazisti e sovietici e che ora appaiono
insensibili alle sofferenze di altri uomini, donne, vecchi e bambini, anzi sono
in prima fila nell’infliggere loro altre
crudeli sofferenze.
Come scriveva Marx a proposito del comunismo, è
ormai tempo che chi capisca i motivi della migrazione e ne intenda la sua
forza evolutiva per l’umanità intera , esponga apertamente in faccia a tutto il mondo
un modo razionale di interpretare il
fenomeno, e contrapponga alla favola dello spettro della migrazione, un suo manifesto .
I.
Ricchi e poveri (N.B. Tutti i corsivi nel testo delle citazioni del Manifesto del partito comunista, sono miei).
Scrivono
Marx ed Engels nel loro “Manifesto del Partito Comunista” :
"" La storia di ogni società esistita fino a
questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e
plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in
breve, oppressi (poveri) e oppressori
(ricchi) , furono continuamente in
reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora
aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria
di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.
Nelle epoche
passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione
della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni
sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel
medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi
della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di
queste classi.
La società civile moderna, sorta dal tramonto della società
feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto
sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove
forme di lotta.
La nostra
epoca, l'epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver
semplificato gli antagonismi di classe. L'intera società si va scindendo sempre
più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte
l'una all'altra: le grandi società
borghesi, libere, evolute, ricche ed acculturate e quelle proletarie, sfruttate anche dalle loro dirigenze, rese
schiave, povere e mantenute ignoranti . (E’
l’immagine perfetta dei popoli africani e del terzo mondo in genere)
Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto
delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi
della borghesia.
La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa
crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie
orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con
le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al
commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai
conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario
entro la società feudale in disgregazione.””
Non dimentichiamo che
oltre alla colonizzazione territoriale vi è stata, tragicamente inumana, la
colonizzazione delle persone : la schiavitù. La bellissima e ricca Africa è
quindi stata depredata dai cosi detti, paesi civilizzati (sic!) dei suoi beni
materiali ed umani.
Prosegue il
Manifesto del partito comunista” : “”L'esercizio
dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al
fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la
manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la
divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla
divisione del lavoro nella singola officina stessa. Ma i
mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura
era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la
produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande
industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari
dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
La grande
industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla
scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso (globale) al commercio, alla navigazione, alle
comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta
sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano
industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha
accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi
tramandate dal medioevo.
Vediamo dunque come la borghesia moderna è essa stessa il
prodotto d'un lungo processo di sviluppo, d'una serie di rivolgimenti
nei modi di produzione e di traffico.
Ognuno di
questi stadi di sviluppo della borghesia era accompagnato da un corrispondente
progresso politico. Ceto oppresso sotto il dominio dei signori feudali, insieme
di associazioni armate ed autonome nel Comune, talvolta sotto la forma di
repubblica municipale indipendente, talvolta di terzo stato tributario della
monarchia, poi all'epoca dell'industria manifatturiera, nella monarchia
controllata dagli stati come in quella assoluta, contrappeso alla nobiltà, e
fondamento principale delle grandi monarchie in genere, la borghesia, infine,
dopo la creazione della grande industria e del mercato mondiale, si è
conquistata il dominio politico esclusivo dello Stato rappresentativo moderno.
Il potere statale moderno non è che un comitato che amministra gli affari
comuni di tutta la classe borghese.
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente
rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto
tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato
spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo
superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo
interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua
gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota,
dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la
dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà
patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio
priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato,
diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e
politiche.
La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le
attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha
tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in
salariati ai suoi stipendi.
La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al
rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.
La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di
forza che la reazione ammira tanto nel medioevo, avesse la sua appropriata
integrazione nella più pigra infingardaggine. Solo la borghesia ha dimostrato
che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre
meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha
portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le
crociate. (e ora non sopporta le nuove migrazioni ?)
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare
continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque
tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi
industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema
di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto
scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni
contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si
dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e
di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano
prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e
di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti
a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci
rapporti.
Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi
prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. (incredibile
la preveggenza di Marx del fenomeno
economico del nostro secolo : la globalizzazione) . Dappertutto deve
annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare
relazioni.
Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha
dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi.
Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran
rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state
distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate
da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte
per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le
materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono
consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai
vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi,
che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più
lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali
subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni.
E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti
intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la
ristrettezza nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte
letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.
Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di
produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina
nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue
merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi,
con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari.
Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della
borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa
loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si
crea un mondo a propria immagine e somiglianza.
La borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della
città. Ha creato città enormi, ha accresciuto su grande scala la cifra della
popolazione urbana in confronto di quella rurale, strappando in tal modo una
parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rurale. Come ha reso
la campagna dipendente dalla città, la borghesia ha reso i paesi barbari e
semibarbari dipendenti da quelli inciviliti, i popoli di contadini da quelli di
borghesi, l'Oriente dall'Occidente.
La borghesia elimina sempre più la dispersione dei mezzi di
produzione, della proprietà e della popolazione. Ha agglomerato la popolazione,
ha centralizzato i mezzi di produzione, e ha concentrato in poche mani la
proprietà. Ne è stata conseguenza necessaria la centralizzazione politica.
Province indipendenti, legate quasi solo da vincoli federali, con interessi,
leggi, governi e dazi differenti, vennero strette in una sola nazione, sotto un
solo governo, una sola legge, un solo interesse nazionale di classe, entro una
sola barriera doganale.
Durante il suo dominio di classe appena secolare la
borghesia ha creato forze produttive in massa molto maggiore e più colossali
che non avessero mai fatto tutte insieme le altre generazioni del passato. Il
soggiogamento delle forze naturali, le macchine, l'applicazione della chimica
all'industria e all'agricoltura, la navigazione a vapore, le ferrovie, i
telegrafi elettrici, il dissodamento d'interi continenti, la navigabilità dei
fiumi, popolazioni intere sorte quasi per incanto dal suolo -quale dei secoli
antecedenti immaginava che nel grembo del lavoro sociale stessero sopite tali
forze produttive?
Ma abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio
sulla cui base si era venuta costituendo la borghesia erano stati prodotti
entro la società feudale. A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di
produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produceva
e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in
una parola i rapporti feudali della proprietà, non corrisposero più alle forze
produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di
promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e
furono spezzate.
Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente
costituzione sociale e politica, con il dominio economico e politico della
classe dei borghesi.
Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti
borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la
società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di
scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le
potenze degli inferi da lui evocate. Sono decenni ormai che la storia
dell'industria e del commercio è soltanto storia della rivolta delle forze
produttive moderne contro i rapporti moderni della produzione, cioè contro i
rapporti di proprietà che costituiscono le condizioni di esistenza della
borghesia e del suo dominio. Basti ricordare le crisi commerciali (e/o finanziarie ) che col loro
periodico ritorno mettono in forse sempre più minacciosamente l'esistenza di
tutta la società borghese.
Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non
solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze
produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le
epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovraproduzione.
La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea
barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano
tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano
distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di
sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a
sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti
borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e
ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine
tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà
borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere
la ricchezza da essi stessi prodotta. Con quale mezzo la borghesia supera le
crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive;
dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso
dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più
generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi
stesse. (Anche le crisi finanziarie vengono apparentemente risolte, ma in realtà preparate al disastro, con la sovraproduzione, quella del denaro che produce denaro = vedasi i titoli tossici ed il credito indiscriminato )
A questo momento -prosegue Marx - le armi che son servite alla borghesia per
atterrare il feudalesimo si rivolgono contro la borghesia stessa. Ma la borghesia non ha soltanto fabbricato le armi che la
porteranno alla morte; ha anche generato gli uomini che impugneranno quelle
armi: gli operai moderni, i proletari. (i poveri, gli sfruttati , i perseguitati, i civili coinvolti dalla violenze delle
guerre, gli affamati che per
sopravvivere loro e le loro famiglie sono costretti a migrare).
Nella stessa proporzione in cui si sviluppa la borghesia,
cioè il capitale, si sviluppa il proletariato, la classe degli operai moderni,
che vivono solo fintantoché trovano lavoro, e che trovano lavoro solo
fintantoché il loro lavoro aumenta il capitale. Questi operai, che sono
costretti a vendersi al minuto, sono una merce come ogni altro articolo commerciale,
e sono quindi esposti, come le altre merci, a tutte le alterne vicende della
concorrenza, a tutte le oscillazioni del mercato.
Con l'estendersi dell'uso delle macchine e con la divisione
del lavoro, il lavoro dei proletari ha perduto ogni carattere indipendente e
con ciò ogni attrattiva per l'operaio. Egli diviene un semplice accessorio
della macchina, al quale si richiede soltanto un'operazione manuale
semplicissima, estremamente monotona e facilissima da imparare. Quindi le spese
che causa l'operaio si limitano quasi esclusivamente ai mezzi di sussistenza
dei quali egli ha bisogno per il proprio mantenimento e per la riproduzione
della specie. Ma il prezzo di una merce, quindi anche quello del lavoro, è
uguale ai suoi costi di produzione. Quindi il salario decresce nella stessa
proporzione in cui aumenta il tedio del lavoro. Anzi, nella stessa proporzione
dell'aumento dell'uso delle macchine e della divisione del lavoro, aumenta
anche la massa del lavoro, sia attraverso l'aumento delle ore di lavoro, sia
attraverso l'aumento del lavoro che si esige in una data unità di tempo,
attraverso l'accresciuta celerità delle macchine, e così via.
L'industria moderna ha trasformato la piccola officina del
maestro artigiano patriarcale nella grande fabbrica del capitalista
industriale. Masse di operai addensate nelle fabbriche vengono organizzate
militarmente. E vengono poste, come soldati semplici dell'industria, sotto la
sorveglianza di una completa gerarchia di sottufficiali e ufficiali. Gli operai
non sono soltanto servi della classe dei borghesi, ma vengono asserviti giorno
per giorno, ora per ora dalla macchina, dal sorvegliante, e soprattutto dal
singolo borghese fabbricante in persona. Questo dispotismo è tanto più
meschino, odioso ed esasperante, quanto più apertamente esso proclama come fine
ultimo il guadagno.
Quanto meno il lavoro manuale esige abilità ed esplicazione
di forza, cioè quanto più si sviluppa l'industria moderna, tanto più il lavoro
degli uomini viene soppiantato da quello delle donne [e dei fanciulli]. Per la
classe operaia non han più valore sociale le differenze di sesso e di età.
Ormai ci sono soltanto strumenti di lavoro che costano più o meno a seconda
dell'età e del sesso.
Quando lo sfruttamento dell'operaio da parte del padrone di
fabbrica è terminato in quanto all'operaio viene pagato il suo salario in
contanti, si gettano su di lui le altre parti della borghesia, il padron di
casa, il bottegaio, il prestatore su pegno e così via.
Quelli che fino a questo momento erano i piccoli ordini
medi, cioè i piccoli industriali, i piccoli commercianti e coloro che vivevano
di piccole rendite, gli artigiani e i contadini, tutte queste classi
precipitano nel proletariato, in parte per il fatto che il loro piccolo
capitale non è sufficiente per l'esercizio della grande industria e soccombe
nella concorrenza con i capitalisti più forti, in parte per il fatto che la
loro abilità viene svalutata da nuovi sistemi di produzione. Così il
proletariato si recluta in tutte le classi della popolazione.
Il proletariato passa attraverso vari gradi di sviluppo. La
sua lotta contro la borghesia comincia con la sua esistenza.
Da principio singoli operai, poi gli operai di una fabbrica,
poi gli operai di una branca di lavoro in un dato luogo lottano contro il
singolo borghese che li sfrutta direttamente.
Essi non dirigono i loro attacchi soltanto contro i rapporti
borghesi di produzione, ma contro gli stessi strumenti di produzione;
distruggono le merci straniere che fan loro concorrenza, fracassano le macchine,
danno fuoco alle fabbriche, cercano di riconquistarsi la tramontata posizione
del lavoratore medievale.
In questo stadio gli operai costituiscono una massa
disseminata per tutto il paese e dispersa a causa della concorrenza. La
solidarietà di maggiori masse operaie non è ancora il risultato della loro
propria unione, ma della unione della borghesia, la quale, per il
raggiungimento dei propri fini politici, deve mettere in movimento tutto il
proletariato, e per il momento può ancora farlo. Dunque, in questo stadio i
proletari combattono non i propri nemici, ma i nemici dei propri nemici, gli
avanzi della monarchia assoluta, i proprietari fondiari, i borghesi non
industriali, i piccoli borghesi. Così tutto il movimento della storia è
concentrato nelle mani della borghesia; ogni vittoria raggiunta in questo modo
è una vittoria della borghesia. (Si arriva così anche alle lotte dei poveri
contro i poveri, posti uno contro
l’altro nella ricerca di un posto di lavoro o di una casa e a tal fine disposti a qualsiasi posto di
lavoro ed a qualsiasi mercede)
Ma il proletariato, con lo sviluppo dell'industria, non solo
si moltiplica; viene addensato in masse più grandi, la sua forza cresce, ed
esso la sente di più. Gli interessi, le condizioni di esistenza all'interno del
proletariato si vanno sempre più agguagliando man mano che le macchine
cancellano le differenze del lavoro e fanno discendere quasi dappertutto il
salario a un livello ugualmente basso. La crescente concorrenza dei borghesi
fra di loro e le crisi commerciali che ne derivano rendono sempre più
oscillante il salario degli operai; l'incessante e sempre più rapido sviluppo
del perfezionamento delle macchine rende sempre più incerto il complesso della
loro esistenza; le collisioni fra il singolo operaio e il singolo borghese
assumono sempre più il carattere di collisioni di due classi. Gli operai
cominciano col formare coalizioni contro i borghesi, e si riuniscono per
difendere il loro salario. Fondano perfino associazioni permanenti per
approvvigionarsi in vista di quegli eventuali sollevamenti. Qua e là la lotta
prorompe in sommosse. (o in migrazioni come gli italiani di ieri ed i neri di oggi)
Ogni tanto vincono gli operai; ma solo transitoriamente. Il
vero e proprio risultato delle lotte non è il successo immediato, ma il fatto
che l'unione degli operai si estende sempre più. Essa è favorita dall'aumento
dei mezzi di comunicazione, prodotti dalla grande industria, che mettono in
collegamento gli operai delle diverse località. E basta questo collegamento per
centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte
locali che hanno dappertutto uguale carattere. Ma ogni lotta di classi è lotta
politica. E quella unione per la quale i cittadini del medioevo con le loro
strade vicinali ebbero bisogno di secoli, i proletari moderni con le ferrovie la attuano in pochi anni. (e con internet, in pochi minuti)
strade vicinali ebbero bisogno di secoli, i proletari moderni con le ferrovie la attuano in pochi anni. (e con internet, in pochi minuti)
Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in
partito politico torna ad essere spezzata ogni momento dalla concorrenza fra
gli operai stessi. Ma risorge sempre di nuovo, più forte, più salda, più
potente. Essa impone il riconoscimento in forma di legge di singoli interessi
degli operai, approfittando delle scissioni all'interno della borghesia. Così
fu per la legge delle dieci ore di lavoro in Inghilterra.
In genere, i
conflitti insiti nella vecchia società promuovono in molte maniere il processo
evolutivo del proletariato. La borghesia è sempre in lotta; da principio contro
l'aristocrazia, più tardi contro le parti della stessa borghesia i cui
interessi vengono a contrasto con il progresso dell'industria, e sempre contro
la borghesia di tutti i paesi stranieri. In tutte queste lotte essa si vede
costretta a fare appello al proletariato, a valersi del suo aiuto, e a
trascinarlo così entro il movimento politico. Essa stessa dunque reca al
proletariato i propri elementi di educazione, cioè armi contro se stessa.
Inoltre, come abbiamo veduto, il progresso dell'industria
precipita nel proletariato intere sezioni della classe dominante, o per lo meno
ne minaccia le condizioni di esistenza. Anch'esse arrecano al proletariato una
massa di elementi di educazione.
Infine, in tempi nei quali la lotta delle classi si avvicina
al momento decisivo, il processo di disgregazione all'interno della classe
dominante, di tutta la vecchia società, assume un carattere così violento, così
aspro, che una piccola parte della classe dominante si distacca da essa e si
unisce alla classe rivoluzionaria, alla classe che tiene in mano l'avvenire.
Quindi, come prima una parte della nobiltà era passata alla borghesia, così ora
una parte della borghesia passa al proletariato; e specialmente una parte degli
ideologi borghesi, che sono riusciti a giungere alla intelligenza teorica del
movimento storico nel suo insieme.
Fra tutte le classi che oggi stanno di contro alla
borghesia, il proletariato soltanto è una classe realmente rivoluzionaria. Le
altre classi decadono e tramontano con la grande industria; il proletariato è
il suo prodotto più specifico.
Gli ordini medi, il piccolo industriale, il piccolo
commerciante, l'artigiano, il contadino, combattono tutti la borghesia, per
premunire dalla scomparsa la propria esistenza come ordini medi. Quindi non
sono rivoluzionari, ma conservatori. Anzi, sono reazionari, poiché cercano di
far girare all'indietro la ruota della storia. Quando sono rivoluzionari, sono
tali in vista del loro imminente passaggio al proletariato, non difendono i
loro interessi presenti, ma i loro interessi futuri, e abbandonano il proprio
punto di vista, per mettersi da quello del proletariato.
Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli
infimi strati della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene
scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le sue
condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie. (vedi
gli schiavi degli agricoltori meridionali e non)
Le condizioni di esistenza della vecchia società sono già
annullate nelle condizioni di esistenza del proletariato. Il proletario è senza
proprietà; il suo rapporto con moglie e figli non ha più nulla in comune con il
rapporto familiare borghese; il lavoro industriale moderno, il soggiogamento
moderno del capitale, identico in Inghilterra e in Francia, in America e in
Germania, lo ha spogliato di ogni carattere nazionale. Leggi, morale, religione
sono per lui altrettanti pregiudizi borghesi, dietro i quali si nascondono
altrettanti interessi borghesi.
Tutte le
classi che si sono finora conquistato il potere hanno cercato di garantire la
posizione di vita già acquisita, assoggettando l'intera società alle condizioni
della loro acquisizione. I proletari possono conquistarsi le forze produttive
della società soltanto abolendo il loro proprio sistema di appropriazione avuto
sino a questo momento, e per ciò stesso l'intero sistema di appropriazione che
c'è stato finora. I proletari non hanno da salvaguardare nulla di proprio,
hanno da distruggere tutta la sicurezza privata e tutte le assicurazioni
private che ci sono state fin qui.
Tutti i movimenti precedenti sono stati movimenti di
minoranze, o avvenuti nell'interesse di minoranze. Il movimento proletario è il
movimento indipendente della immensa maggioranza. Il proletariato, lo strato
più basso della società odierna, non può sollevarsi, non può drizzarsi, senza
che salti per aria l'intera soprastruttura degli strati che formano la società
ufficiale.
La lotta del proletariato contro la borghesia è in un primo
tempo lotta nazionale, anche se non sostanzialmente, certo formalmente. E`
naturale che il proletariato di ciascun paese debba anzitutto sbrigarsela con
la propria borghesia.
Delineando le fasi più generali dello sviluppo del
proletariato, abbiamo seguito la guerra civile più o meno latente all'interno
della società attuale, fino al momento nel quale quella guerra erompe in aperta
rivoluzione e nel quale il proletariato fonda il suo dominio attraverso il
violento abbattimento della borghesia.
Ogni società si è basata finora, come abbiamo visto, sul
contrasto fra classi di oppressori e classi di oppressi. Ma, per poter
opprimere una classe, le debbono essere assicurate condizioni entro le quali
essa possa per lo meno stentare la sua vita di schiava. Il
servo della gleba, lavorando nel suo stato di servo della gleba, ha potuto
elevarsi a membro del comune, come il cittadino minuto, lavorando sotto il
giogo dell'assolutismo feudale, ha potuto elevarsi a borghese. Ma l'operaio
moderno (alias oggi l’abitante del terzo
mondo, quello più povero) , invece di elevarsi man mano che l'industria
progredisce, scende sempre più al disotto delle condizioni della sua propria
classe. L'operaio diventa un povero, e il pauperismo si sviluppa anche più
rapidamente che la popolazione e la ricchezza. Da tutto ciò appare manifesto
che la borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe
dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della
propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è
capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua
schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella
quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società
non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della
classe borghese non è più compatibile con la società.
La condizione più importante per l'esistenza e per il
dominio della classe borghese è l'accumularsi della ricchezza nelle mani di
privati (di pochi privati) , la formazione e la moltiplicazione del capitale; condizione del
capitale è il lavoro salariato. Il lavoro salariato poggia esclusivamente sulla
concorrenza degli operai tra di loro. Il progresso dell'industria, del quale la
borghesia è veicolo involontario e passivo, fa subentrare all'isolamento degli
operai risultante dalla concorrenza, la loro unione rivoluzionaria, risultante dall'associazione.
Con lo sviluppo della grande industria, dunque, vien tolto di sotto ai piedi
della borghesia il terreno stesso sul quale essa produce e si appropria i
prodotti. Essa produce anzitutto i suoi seppellitori. Il suo tramonto e la
vittoria del proletariato sono del pari inevitabili. La conclusione di Marx è nota : "PROLETARI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI "
2) Migranti:
i proletari di oggi
Il fenomeno non nuovo della migrazione ma oggi diverso per la
sua sostanza di migrazione di massa impone
la soluzione dei problemi che all’epoca di Marx e di tutto il ‘900, ed ancora è
in buona parte irrisolto, e cioè far convivere
la borghesia con il proletariato.
Il Manifesto del partito comunista dichiarava “” che le proposizioni teoriche dei comunisti
(quelle che ho ampiamente riportato
sopra) non poggiano affatto su idee, su princìpi inventati o scoperti da
questo o quel riformatore del mondo. Esse sono semplicemente espressioni
generali di rapporti di fatto di una esistente lotta di classi, cioè di un
movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi. “
A questo punto il Manifesto marxiano si addentra sugli
strumenti necessari per risolvere la lotta di classe di cui ha ampiamente
parlato ed afferma: “ L'abolizione di
rapporti di proprietà esistiti fino a un dato momento non è qualcosa di
distintivo peculiare del comunismo. Tutti i rapporti di proprietà sono stati
soggetti a continui cambiamenti storici, a una continua alterazione storica.
Per esempio, la rivoluzione francese abolì la proprietà feudale in favore di
quella borghese. Quel che
contraddistingue il comunismo non è l'abolizione della proprietà in generale,
bensì l'abolizione della proprietà borghese. “”
Lasciamo a chi
sia interessato la prosecuzione nella lettura del Manifesto del partito
comunista italiano, il testo che si è diffuso in tutto il mondo nella traduzione
in tutte le lingue superato solo dalla diffusione della Bibbia. Si tratta della
teorizzazione sia pure sintetica di una dottrina politica che, purtroppo per una serie di motivi che sarebbe troppo
lungo esaminare (in primis il difficile rapporto con la libertà) nella sua
realizzazione (URSS) ha dato pessima prova di sé.
Tuttavia
avvalendomi sempre in via parafrasica
del più volte citato “manifesto” vorrei provare a rispondere ad alcune
argomentazioni critiche del fenomeno delle “migrazioni”. Lo faccio senza un
ordine di grandezza ed importanza ma come appaiono nella mia testa :
11) Si obbietta che i costumi, le
credenze, anche religiose, dei migranti (che non sono solo africani, ma
marocchini, siriani, indiani etc.) sono diverse da quelle occidentali e non
integrabili con le nostre . Premesso che le nostre credenze (anche quelle
religiose) ed abitudini non è detto che siano tutte valide e sostenibili, dove sono gli strumenti della nostra presunta superiorità in
educazione (nessuno nasce imparato) e e convivenza uno con l'altro, se non la scuola, la vita in comune, lo
sviluppo storico delle generazioni etc. etc.? Sono convinto che con l'istruzione e l'esempio, e sopratutto con il tempo questa integrazione tra noi e gli immigrati si farà . In
verità dietro la conservazione di un certo stato di fatto di una certa
situazione culturale e materiale si cela l’interesse di mantenere posizioni di
potere esclusivo e si teme la diminuzione o addirittura l’eliminazione di
questo potere. Ma è giustificabile tale
potere ? Giustamente Marx osserva che la società borghese ( che è
fondamentalmente la nostra) è “quella in cui coloro che lavorano, non
guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. “ . Non può durare.
2) Si obbietta che la nostra nazione non può sostenere l’attuale
migrazione , soprattutto dall’Africa,
per motivi soprattutto economici data l’attuale situazione di crisi del
lavoro. Giustissimo ma l’emigrazione non
è detto che debba concentrarsi in un solo luogo, anche se il luogo è tutta
l’Italia con una percentuale di incremento della popolazione ancora molto
bassa (mi pare l' 8%) . Da qui la più che giustificata
richiesta della collaborazione/solidarietà
europea, con in più la difficoltà e comunque tardiva, di intervento
sulle motivazioni materiali e politiche che hanno determinato le migrazioni di
un numero imponente di uomini, donne bambini.
3 3) Si obietta che l’integrazione di questi “altri” ( perché tali sono considerati con oblio totale che la base pseudoscientifica della schoa era proprio nella alterità genetica dell’ebreo,) non è possibile o comunque inquinante delle nostre famiglie . Interroghiamoci su che cosa si basa la generalizzata borghese famiglia attuale. Disseminata di separazioni e divorzi è in dimostrata diminuzione di natalità e di crisi nell’educazione e crescita dei figli che produce. Siamo sicuri che sia un modello da contrapporre alle famiglie degli “altri”, ricchi di solidarietà umana (la poligamia è pressochè scomparsa) e di prole ? Perfino gli zingari, prototipo del concetto di “altri e diversi” , saranno poco osservanti delle leggi borghesi ma strettamente uniti nei clan delle loro famiglie.
3 3) Si obietta che l’integrazione di questi “altri” ( perché tali sono considerati con oblio totale che la base pseudoscientifica della schoa era proprio nella alterità genetica dell’ebreo,) non è possibile o comunque inquinante delle nostre famiglie . Interroghiamoci su che cosa si basa la generalizzata borghese famiglia attuale. Disseminata di separazioni e divorzi è in dimostrata diminuzione di natalità e di crisi nell’educazione e crescita dei figli che produce. Siamo sicuri che sia un modello da contrapporre alle famiglie degli “altri”, ricchi di solidarietà umana (la poligamia è pressochè scomparsa) e di prole ? Perfino gli zingari, prototipo del concetto di “altri e diversi” , saranno poco osservanti delle leggi borghesi ma strettamente uniti nei clan delle loro famiglie.
4 4) Il lavoro: si non c’è o c’è né poco,
ma “loro” lo fanno anche in condizioni disumane . Ma pensate che non starebbero a casa loro appena potessero sopravvivere
loro e le loro famiglia ? Fanno gli
schiavi per non morire ? Questo vuol
dire portare via il lavoro agli italiani ?
Domandatelo a chi assume al lavoro un nero, o un indiano, o un siriano:
perché non assumi un italiano ? la
risposta ve la darà lui e quando non assume nessuno è perché non c’ è lavoro
per nessuno . In tal caso cosa centra la
“migrazione” ?.
55) Vi è poi chi invoca la sacra tutela
della patria, anche se la patria originale viene spezzettata in una patria
locale. “ I poveri, i proletari non hanno patria -dice Marx Non si può togliere - loro quello che non
hanno. La prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio
politico, di elevarsi a classe “. I
migranti debbono rispettare i doveri ma ottenere dei diritti.
66) Al fondo di tutte queste obiezioni vi è
sostanzialmente una mentalità “razzista”
quella di chi considera l’altro un diverso da sé con la pretesa di avere
su di lui una superiorità biologicamente o anche solo storicamente acquisita.
E’ questo razzismo che bisogna smontare con la discussione e con
l’esempio.
Finisco citando ancora una volta il “Manifesto del
comunismo”. Che dice:
“Le
separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più
già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato
mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti
condizioni d'esistenza. Il dominio del proletariato
li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua
emancipazione è l'azione unita, per lo meno dei paesi civili. Lo sfruttamento di una nazione da parte di
un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di
un individuo da parte di un altro.
Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni
scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni. Non meritano d'essere discusse in particolare
le accuse che si fanno al comunismo (alias
integralismo) da punti di vista
religiosi, filosofici e ideologici in genere.
C'è bisogno di
una profonda comprensione per capire che anche le idee, le opinioni e i
concetti, insomma, anche la coscienza degli uomini, cambia col cambiare delle
loro condizioni di vita, delle loro relazioni sociali, della loro esistenza
sociale? Cos'altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione
intellettuale si trasforma assieme a quella materiale? Le idee dominanti di
un'epoca sono sempre state soltanto le idee della classe dominante. Si parla di idee che
rivoluzionano un'intera società; con queste parole si esprime semplicemente il
fatto che entro la vecchia società si sono formati gli elementi di una nuova, e
che la dissoluzione delle vecchie idee procede di pari passo con la
dissoluzione dei vecchi rapporti d'esistenza. Quando il mondo antico fu al tramonto, le
antiche religioni furono vinte dalla religione cristiana. Quando nel secolo
XVIII le idee cristiane soggiacquero alle idee dell'illuminismo, la società
feudale dovette combattere la sua ultima lotta con la borghesia allora
rivoluzionaria. Le idee della libertà di coscienza e della libertà di religione
furono soltanto l'espressione del dominio della libera concorrenza nel campo
della coscienza.
Ma, si dirà, certo che nel corso dello svolgimento storico
le idee religiose, morali, filosofiche, politiche, giuridiche si sono
modificate. Però in questi cambiamenti la religione, la morale, la
filosofia, la politica, il diritto si sono sempre conservati.”
Tuttavia – aggiungo
io che sono un accanito relativista – le categorie indicate da Marx (la
morale, la filosofia, la politica, il diritto) sono ancora quelle del
ragionamento attuale ma il loro
contenuto è profondamente cambiato. Marx
insiste che “vi sono verità eterne, come
la libertà, la giustizia e così via, che sono comuni a tutti gli strati della
società “. Così Marx che rivela la storicità della sua visione
utopica : io ritengo che verità eterne
ed indiscutibili non esistano. Forse si chiameranno sempre verità ma la loro interpretazione ed applicazione
pratica si evolverà nel tempo, come
proprio il Manifesto dimostra, ed evolveranno ancora. E’ la politica, bellezza !
Invece mi
piace pensare che esiste ancora ed
esisterà , “se questo è un uomo”, la PIETAS e con questo sentimento concludo con un brano che ho tratto dal Sillabario Laico di
Umberto Veronesi (ed. Corriere della Sera pag. 126) e che è il messaggio del mio "manifesto dei migranti"
NINNANANNA
Ho sognato che i Parlamenti di tutti i Paesi non poveri
interrompano i lavori e dicano :”Andiamo!” Così , ecco belle navi forti e
pulite partono per i Paesi della paura e della miseria. A bordo ci sono
pediatri, medici, infermieri e anche nonne per fare carezze, raccontare favole.
Com’è bello veder sventolare sullo sfondo dei mari i tricolori italiani e francesi,
l’Union Jack dell’Inghilterra, la bandiera a stelle e strisce di quel sogno
umano che fu l’America, e poi i vessilli di Svezia, Germania, Austria, Spagna,
Portogallo, Norvegia, Olanda, Belgio. Tutto il cosiddetto “primo mondo”: che ha
ritrovato il cuore e si affretta. Intanto, come nell’operazione Dynamo a
Dunkerque, tutti i proprietari di imbarcazioni si caricano di taniche per il
rifornimento e partono anche loro. Il mare, a perdita d’occhio, è pieno di navi
e di barche che vanno verso gli sventurati. Li prenderemo tutti, lasceremo da
soli gli uomini della morte, allora forse in quelle terre dilaniate calerà un
silenzio terribile quello in cui gli Angeli dell’Apocalisse scenderanno da
nuvole di tempesta. Dateci tutte le
creature vessate, spaventate, le donne e gli uomini senza diritti, i bambini senza
sorrisi. Li portiamo via, stretti al nostro cuore: Poi li riporteremo, se
vorranno. Li riporteremo in un giorno felice in cui ci saranno soltanto patrie
(con i loro alberi, fiori, odori e suoni) e non nazioni con confini, cannoni e
armi. Ora vengono con noi, a dormire, mangiare, andare a scuola e leggere
libri. Potevamo aver paura ieri, di accoglierli. Oggi no perché abbiamo
ritrovato il cuore, e sappiamo che si può mangiare in dieci dove si mangiava in
due. Oggi ogni famiglia ne ha uno, due, quattro. Di notte, finito il rumore dei
tram, le notti di pace cullano il respiro di tutti questi dormienti, al riparo
delle lenzuola pulite e delle calde coperte. Come gli vogliamo bene ! come ci
vogliono bene ! Non ne capiamo la lingua, ma impareremo e impareranno. Forse
nascerà una nuova lingua, senza le parole cattive. Intanto stanotte, in tutti
grandi rifugi che il mondo ha saputo aprire, vaga per l’aria un’immensa
ninnananna fatta di respiri. Anche per
chi non crede, è una musica che si chiama Dio.
Umberto Veronesi