martedì 9 gennaio 2018

PENSIERO CINQUE : sul comunismo


      Credo che sia facilmente comprensibile dai miei scritti, ed attività ,   il senso di umana pietas che nutro nei confronti degli ideali espressi nelle "rivoluzioni" spesso espressi in sacrifici estremi e finiti in estreme delusioni.
      In questo senso interpreto un articolo  di Elio Vittorini comparso su LA STAMPA del 6 Sett. 1951, dal titolo " Il comunismo come continuazione e sviluppo della rivoluzione liberale. (Le libertà cosidette borghesi non sono menzogne. Lo ha mostrato il fascismo. Capitalismo e liberalismo non sono una cosa sola. Possibilità storica che comunismo e liberalismo diventino una cosa sola.  Ciò si potrebbe condensare in una formula come GIUSTIZIA E LIBERTA' ? n.mia ).  

Scriveva ElioVittorini :
"" Nel '41, quando le adesioni (dei nostri intellettuali al comunismo) cominciarono, si aveva in Italia il fascismo già da diciannove anni (...). Gli svantaggi sociali del capitalismo apparivano loro terribilmente aggravati dall'abolizione delle libertà politiche e civili, assoluta in certi campi e relativa in altri. Capitalismo e liberalismo non erano per essi una cosa sola. Avevano il primo senza avere nulla del secondo; e questo rendeva loro sospetto come fautore di fascismo tutto ciò che dell'uomo e della sua cultura (o della sua ingenuità) modulasse motivi antiliberali. La realtà totalitaria in cui vivevano li conduceva a riscoprire la grandezza individuale dell'uomo che nasce solo, muore solo, e non è libero se non può contare innanzitutto su una libertà di singolo: individuale com'è individuale la nascita e com'è individuale la morte. La libertà di cambiare mestiere o di  cambiare residenza non erano "irrisorie" per essi che dovevano chiedere continuamente dei 'nulla-osta' alla burocrazia del regime. E la libertà di parola non era in nessun modo una 'menzogna' per essi che sperimentavano ogni giorno come la sua mancanza equivalga a mancanza della parola stessa, perchè uccide la fiducia tra uomo e uomo, e annulla la possibilità di farsi compagnia anche tra analfabeti.
 Essi aborrivano, peraltro, l'ingiustizia sociale propria del capitalismo. Ma la consideravano un difetto di libertà che occorresse risolvere approfondendo la lotta per i diritti dell'uomo fino a snidare i privilegi che li limitano da tutti i persistenti castelli medioevali dell'economia. L'esperienza che avevano di un capitalismo senza liberalismo li faceva ragionare come i contadini e operai del nostro Mezzogiono e dei paesi semifeaudali in generale. Analizzate le aspirazioni spontanee di quei contadini e operai, e troverete che sono, praticamente, per un liberalismo senza capitalismo (...).  Così potè accadere che i nostri scrittori e artisti, verso il 1942, e specie nel corso della guerra civile, scambiassero il comunismo per una nuova forma storica capace di passar sopra a qualsiasi preconcetto ideologico e di farsi la continuatrice della rivoluzione liberale, secondo le nuove esigenze storiche messe fuori, un po' dovunque, da quasi tutti i popoli.

DA E.VITTORINI - DIARIO IN PUBBLICO - Ed. Bompiani 1957