Credo che sia facilmente comprensibile dai miei scritti, ed attività , il senso di umana pietas che nutro nei confronti degli ideali espressi nelle "rivoluzioni" spesso espressi in sacrifici estremi e finiti in estreme delusioni.
In questo senso interpreto un articolo di Elio Vittorini comparso su LA STAMPA del 6 Sett. 1951, dal titolo " Il comunismo come continuazione e sviluppo della rivoluzione liberale. (Le libertà cosidette borghesi non sono menzogne. Lo ha mostrato il fascismo. Capitalismo e liberalismo non sono una cosa sola. Possibilità storica che comunismo e liberalismo diventino una cosa sola. Ciò si potrebbe condensare in una formula come GIUSTIZIA E LIBERTA' ? n.mia ).
Scriveva ElioVittorini :
Scriveva ElioVittorini :
"" Nel
'41, quando le adesioni (dei nostri intellettuali al comunismo) cominciarono,
si aveva in Italia il fascismo già da diciannove anni (...). Gli svantaggi
sociali del capitalismo apparivano loro terribilmente aggravati dall'abolizione
delle libertà politiche e civili, assoluta in certi campi e relativa in altri.
Capitalismo e liberalismo non erano per essi una cosa sola. Avevano il primo
senza avere nulla del secondo; e questo rendeva loro sospetto come fautore di
fascismo tutto ciò che dell'uomo e della sua cultura (o della sua ingenuità)
modulasse motivi antiliberali. La realtà totalitaria in cui vivevano li
conduceva a riscoprire la grandezza individuale dell'uomo che nasce solo, muore
solo, e non è libero se non può contare innanzitutto su una libertà di singolo:
individuale com'è individuale la nascita e com'è individuale la morte. La libertà
di cambiare mestiere o di cambiare
residenza non erano "irrisorie" per essi che dovevano chiedere continuamente
dei 'nulla-osta' alla burocrazia del regime. E la libertà di parola non era in
nessun modo una 'menzogna' per essi che sperimentavano ogni giorno come la sua
mancanza equivalga a mancanza della parola stessa, perchè uccide la fiducia tra
uomo e uomo, e annulla la possibilità di farsi compagnia anche tra analfabeti.
Essi
aborrivano, peraltro, l'ingiustizia sociale propria del capitalismo. Ma la
consideravano un difetto di libertà che occorresse risolvere approfondendo la
lotta per i diritti dell'uomo fino a snidare i privilegi che li limitano da
tutti i persistenti castelli medioevali dell'economia. L'esperienza che avevano
di un capitalismo senza liberalismo li faceva ragionare come i contadini e
operai del nostro Mezzogiono e dei paesi semifeaudali in generale. Analizzate
le aspirazioni spontanee di quei contadini e operai, e troverete che sono,
praticamente, per un liberalismo senza capitalismo (...). Così potè accadere che i nostri scrittori e
artisti, verso il 1942, e specie nel corso della guerra civile, scambiassero il
comunismo per una nuova forma storica capace di passar sopra a qualsiasi
preconcetto ideologico e di farsi la continuatrice della rivoluzione liberale,
secondo le nuove esigenze storiche messe fuori, un po' dovunque, da quasi tutti
i popoli.
DA E.VITTORINI - DIARIO IN PUBBLICO - Ed. Bompiani 1957