giovedì 31 maggio 2018

DELLO SCRIVERE




DELLO SCRIVERE

       Dopo più di cinquant’anni di onorata (così si dice) carriera professionale da avvocato, e circa ottant’anni di età mi sono messo a scrivere. Brevi racconti impostati non sulle esperienze professionali tratte dall’ interessante mondo dei Tribunali  (come fanno tanti romanzieri, ad esempio Carofiglio) ma da fatti storici e personaggi degli stessi. Il tutto in un rimescolamento di tempi e luoghi che ho chiamato”arte fattuale”.
       Quale è il mio stile di scrittura ?  Innanzi tutto cerco a rendere chiaro, e quindi comprensibile da chiunque,  il pensiero che voglio comunicare. E’ questa  un’ operazione connaturata al ruolo di chi – come me - ha dedicato  una vita al metodo del dibattere e dell’argomentare  (tema, quest’ultimo’ tanto  caro al mio grande professore, Norberto Bobbio).   Ed è questa una operazione ha cui ho dedicato pagine e pagine di comparse (cioè “scritti argomentativi”) :  ho fatto in prevalenza il civilista che come è noto usa  la parola scritta a differenza dal penalista che usa prevalentemente la parola detta.  
       L’attenzione alla comunicazione della sostanza del mio pensiero  mi ha forse fatto perdere attenzione alla forma, cioè alla grammatica e/o eleganza dello stile ? può essere,  ma mi conforta un aneddoto che ho ricavato  dal commento che Serena Vitale (traduttrice e commentatrice) ha dedicato al racconto fantastico di Fèdor Dostoevskij ,  La Mite -  edizione 2018 Adelfi.
Su Tuttolibri di Sabato 26 Maggio 2018 pag. IX Serena Vitale racconta come c’era una aspirante scritrice,  poco più che trentenne , Varvara Timoteva che apparteneva alla cerchia di giovani seguaci delle nuove idee e che consideravano l’autore dei Demoni “un vecchio rimbambito”,  un “decrepito mistico”. Ad una sua osservazione, probabilmente sul suo modo di scrivere, Dostoevskij un giorno ribattè, stizzito, in tono imperioso: “Ogni scrittore , dovete sapere, ha il suo stile e dunque una sua grammatica.... Io metto la virgola davanti a “che” (così  vorrebbe l’ortografia russa)  quando mi serve , e dove invece non la trovo necessaria e-s-i-g-o  che nessuno la aggiunga! Non mi importa un bel niente delle regole altrui...! “.  Commenta la Vitale:  “In questo caso si trattava soltanto di virgole...Non sapremo mai se con la stessa veemenza Dostoevskij reagisse agli interventi – e dovettero esserci, non poteva essere diversamente – dei correttori (oggi editor) che si trovavano di fronte a ripetizioni, imprecisioni, illogismi, incoerenze etc. “ ...Sta di fatto che Dostoevskij. non si dava alcun pensiero del “bello stile”, conclude la Vitale. E  “si parva licet componere magnis”, che significa «se è lecito paragonare le cose piccole alle grandi», anch’io , quando scrivo,  faccio così .    A.S.
                                                               Antonio Sartoris

domenica 20 maggio 2018

PENSIERO OTTO - Tolleranza o indifferenza

            Sto leggendo Herbert Marcuse (il famoso filosofo tedesco-americano a cui si attribuisce l'identità di ispiratore della ribellione giovanile del '68) e so già che ci vorrà un po' (molto tempo). Nella "prefazione politica 1966" di  "Eros e civiltà" leggo : ""proprio le forze che hanno messo la società in condizione di risolvere la lotta per l'esistenza sono riuscite a reprimere negli individui il bisogno di liberarsi. Laddove l'alto livello di vita non basta a riconciliare le genti con la propria vita e con i propri governanti, la "manipolazione " sociale delle anime e la scienza delle relazioni umane forniscono il necessario controllo della libido (in senso lato: istinto di affermarsi - n.mia) . Nelle società opulente, le autorità non hanno quasi più bisogno di giustificare il dominio che esercitano. Esse provvedono al continuo flusso dei beni; esse provvedono  a che siano soddisfatte la carica sessuale e l'aggressività dei loro soggetti; come l'inconscio, il cui potere di distruzione personificano con tanto successo , esse rappresentano insieme il bene e il male, sicchè il principio di contraddizione non trova alcun posto nella loro logica. "" 
                Questi pensieri di Marcuse mi hanno richiamato alla mente quanto scrivevo a proposito del potere, quello che si esplica in  Cuneo- ed è quello che mi interessa - potere che con un benessere diffuso ha anestetizzato ogni istinto di cambiamento,  di innnovazione, di modernizzazione, e quindi di ribellione.  E' forse questa la proclamata cultura della tolleranza (tanto vantata nei cuneesi salvo a vederne palesi episodi di intolleranza razzista ed egoista )  o è il raggiungimento di un generalizzato stato di indifferenza, tanto comodo a chi comanda ?   A.S.