sabato 10 settembre 2016

CULTURA E POPOLO



Caro Ulisse,

      Ho partecipato nel pomeriggio di Venerdì 9 Sett.2009 presso il Filatoio di Caraglio ad un incontro di quelli che si sono pomposamente chiamati gli Stati Generali della Cultura.  La domanda di base era “Cosa e’ la cultura”.

      Anch’io ho cercato di dare il mio contributo .

      L’antropologo Cavalli Sforza fra i molteplici e differenti significati della parola cultura, ne indica uno a cui si ispira la Fondazione Casa Delfino da me diretta, per cui noi intendiamo intervenire sull’insieme di quanto viene appreso da un individuo nel corso della vita, dal comportamento quotidiano alla conoscenza di qualunque natura, inclusi quegli elementi – come i pregiudizi e le credenze - che precedentemente non venivano compresi nel significato del termine cultura.    Così concepito, dice Cavalli Sforza, il concetto di cultura può in qualche modo considerarsi alternativo a quello di natura, purché adottato in senso stretto, cioè riferito a quanto vi è di innato in noi, o più specificatamente di ereditato attraverso la biologia. In questo senso la “cultura” diventa, per opposizione, tutto quanto è appreso durante lo sviluppo.

      Nell’occasione del convegno di cui sopra, non mi sono avvalso di questo testo anche perché non l’avevo sottomano ed ho in estrema sintesi  detto che “fare cultura vuol dire, far pensare”. Ritengo che nel “pensare” c’è tutto: il conoscere e quindi il sapere, la teoria e la pratica, il vicino ed il lontano, il personale e l’universale , le credenze, le opinioni ed i dubbi, etc. etc.

      Su questi presupposti teorici era inevitabile si scendesse nella realtà locale e si parlasse   della “illuminata”, l’evento che ha coinvolto Cuneo ed ottenendo il successo della partecipazione di migliaia e migliaia di spettatori e non si può non definire “popolare”. Su questo tema mi è parso che la critica di base, si possa riassumente nel titolo che ho dato ad un mio articolo, che è stato rifiutato dai giornali locali , ma che ho messo nel mio blog su internet, “il Fischietto” .    Il titolo era  “L’illuminata senza lumi”.  Si è cioè addebitato a questa “grande operazione” (a proposito quanto è costata ?), ed ad altre soprattutto eno-gastronomiche, di mancare di contenuto culturale.  A queste critiche espresse in modo più o meno soft su La Guida si è  risposto in estrema sintesi : “ ma una  cultura  che non sia popolare, può essere davvero cultura ?”

      Da ciò sorge spontanea la domanda:  se per dare un valore culturale ad una iniziativa ci vuole una partecipazione popolare, come può ottenersi tale partecipazione  alle attività che si definiscono culturali ?       In sintesi: quale tipo di cultura  “il popolo” gradisce   per partecipare ?  Non è facile dare una risposta esaustiva a questa domanda che ha tante sottodomande.  Per esempio: c’è una cultura popolare e una  cultura d’elite ?, c’ è una cultura generale ed una cultura specifica ? etc.etc..  Comunque è una domanda  che ogni organizzatore culturale dovrebbe porsi, ed in effetti (per rimanere solo nella nostra terra) mi pare si sono posti gli organizzatori di “Collisioni,” del “Festival della comunicazione di Dogliani” ed anche di “Scrittori” nella nostra “piccola” città.   

      La prima risposta che mi pare di poter dare a questa domanda (cosa vuole la gente per partecipare ?) parte dalla impressione, avendo assistito anch’io allo spettacolo,  che la gente abbia partecipato alla Illuminata come assistesse ad uno spettacolo di fuochi d’artificio (come quelli che si facevano a S. Michele). In modo generalizzato e prevalente se ne deduce che la gente vuole divertirsi e lo stupirsi, la novità e la meraviglia sono componenti importanti del divertirsi. La mia conclusione (incompleta e provvisoria) di queste noterelle è che la cultura per essere popolare deve essere anche divertente, allettante, appetitosa [1] per la natura umana.  

      Peraltro lo spettacolo popolare deve divertire ma anche aiutare a pensare. 

                                     
                                                            ANTONIO SARTORIS



     






[1] Vi sono tanti appetiti collegati  ai vari organi dell’uomo : l’appetito del sesso, della gola, dello stordimento  provocato  da mali psicologici  magari inconsci e apparentemente appagato dal fumo, dall’alcool  e dalle droghe , appetito di appariscenza,  di potenza, di gloria, appetito di spiritualità, di fare e ricevere bene, ma anche appetito di denaro e di vendetta
 Per fare cultura bisogna sollecitare l’appetito del sapere, del pensare e cercare che il suo appagamento  susciti piacere.