giovedì 10 dicembre 2020

Diogenes - Concorso di videointerviste

La  Fondazione  Casa  Delfino  (onlus),  con  il  sostegno  della  Fondazione Cassa  di  Risparmio  di  Cuneo,  nell'ambito  del  progetto  Mondoideare, nell’intento di assolvere il suo compito di coltivare la cultura e diffonderla quanto  più  possibile,  in  questo  periodo  di  forzata  inattività  nelle  proprie sedi, ha deciso di promuovere un'iniziativa dedicata ai giovani: 

D I O G E N E S 

CERCANDO, TROVANDO E RICORDANDO 


Si tratta di un CONCORSO DI VIDEOINTERVISTE rivolto ai giovani di età dai 16 ai 30 anni (estensibile in futuro anche a età maggiori).  Partendo  dal  presupposto  che  oggi  chiunque  è  fornito di  uno smartphone  (alias  cellulare)  questo  concorso  si  prefigge  di  raccogliere interviste a personaggi illustranti se stessi, ma anche fatti e cose, di loro conoscenza.  Cioè  realizzando  vere  e  proprie  interviste  come  quelle giornalistiche,  perché  videointervistare  vuol  dire  scrivere  con  immagini. Da  ciò  il  sottotitolo:  1)  cercando  e  studiando  il  tema  su  cui  si  intende realizzare la intervista; 2) trovando il soggetto o i soggetti a cui effettuare l’intervista;  3)  traducendo  l’intervista  in  un  documento  audio/video  di fruizione attuale, ma anche archiviabile e quindi strumento di ricordo e/o documentazione filologica e storiografica. 

Per maggiori informazioni scaricate il pdf: concorso_di_videointerviste_diogenes.pdf o scriveteci al nostro indirizzo email: info@fondazionedelfino.it

 







martedì 8 dicembre 2020

SI VINCE AL CENTRO ?

Caro Ulisse, al partito Democratico, Renzi il rottamatore/rottamato continua a ricordare che alle elezioni prossime venture si vince al "centro". Ma che cosa è il centro ? Secondo me non è il centro destra (Berlusconi) con cui Renzi spera di riuscire ad allearsi: lui vorrebbe incantare Berlusconi con qualche dono (vedi patto ....), Berlusconi incassa e continua a portare voti alla destra/destra più reazionaria (Salvini e Meloni). Allora cosa è il popolo del centro da cui Renzi vorrebbe avere il consenso ? Non può essere che quella gran massa di elettori, che non sono mè di destra nè di sinistra, ma si informano, non discutono, sono indifferenti o schifati della politica politichese. Vedasi il bell'articolo che Antonio Gramsci scrisse nel 1937, tuttora attualissimo, che ho pubblicato nel mio post precedente a questo nella serie di CONSOLAZIONI DELLA CULTURA. In conclusione penso che per vincere la sinistra deve fare la sinistra, magari un centro sinistra, che però non è una politics di sinistra annacquata, ma sempre sinistra graduale e progressiva, coerente, comsistente, tale da comvincere gli indifferenti a prendere posizione, come hanno fatto gli elettori statunitensi votando in massa contro Trump ma nche per una politica di sinistra. Per ottenere ciò bisogna informarsi ed informare, studiare ed agire. Ne parleremo ancora perchè si addenano nubi nere. Ciao ANTONIO P.S. Il lento ma inesorabile declino di Eugenio Scalfai continua. Lo riconosco benissimo perchè lo vivo anch'io. Più la vita gli sfugge più vuole continuare ad essere presente : l'altra settimana ha pubblicato su La Repubblica, il "suo" giornale, ben tre articoli citando i Papi, la poesia e naturalmente sè stesso. Che pena !

CONSOLAZIONI DELLA CULTURA - Odio gli indifferenti

Vivere significa partecipare, diceva Antonio Gramsci (1891-1937), fondatore del partito comunista in Italia. C’è un suo scritto dal titolo emblematico, “Odio gli indifferenti“, pubblicato sulla rivista La città futura, nel quale affronta questa tematica e spiega come mai l’indifferenza delle persone sia uno dei mali più gravi della società. Gramsci scriveva nel 1917, quando ancora non era terminata la Prima Guerra Mondiale e le tensioni politiche e sociali erano forti, ma le sue parole hanno valore che va al di là del contesto storico in cui sono state concepite. Le cose succedono nell’indifferenza generale, e solo a posteriori ci lamentiamo, quando ormai è troppo tardi. ODIO GLI INDIFFERENTI . Credo come Federico Hebbel che ‘vivere vuol dire essere partigiani’. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca sono manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del poco bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. ANTONIO GRAMSCI